Home Attualità La Giustizia, da problema a risorsa per il Paese

La Giustizia, da problema a risorsa per il Paese

by admin

Siamo in una fase delicata del Paese dove il riequilibrio dei poteri potrebbe portare a forti cambiamenti sociali e se lo Stato non saprà trovare nel diritto, e nella tutela dei cittadini, un riferimento condiviso allora si aprirà una stagione di grandi conflitti tra i corpi intermedi in cui ognuno cercherà di tutelare i propri interessi a discapito degli altri, abbandonando la visione unitaria della Società così come tracciata nella nostra Costituzione.

I cittadini devono tornare a credere nella Giustizia e nel sistema giudiziario del nostro Paese. Sicurezza e certezza della pena devono convivere con i principi di tutela dei diritti; chi pensa di aver subito un processo ingiusto non accetterà mai il fine rieducativo della pena, così come la vittima del reato sarà sempre più scoraggiata nel chiedere tutela e garanzia allo Stato. L’autonomia e l’indipendenza della magistratura non sono in discussione, ma occorre una nuova visione della giurisdizione diretta all’attuazione della norma giuridica in una società moderna e complessa come la nostra.

Oggi l’emergenza epidemiologica da COVID 19, oltre a mettere a repentaglio vite umane, mette in serio pericolo anche il sistema giustizia, il quale, già fiaccato da problemi atavici e mai risolti, rischia di collassare defintivamente. Infatti la “macchina” della giustizia – appesantita da un carico di arretrato che non è mai riuscita a smaltire (o, quantomeno, a ridurre) e che nessuna delle riforme susseguitesi nel tempo è valsa neppure minimamente a trasformare in un meccanismo agile, efficiente e rapido – è tra le principali priorità del Paese e dovrebbe essere inserita tra le grandi opere infrastrutturali da realizzare (riformare) necessarie alla ripartenza anche dal punto di vista economico. Un sistema impantanato, appesantito, privato di risorse ed incapace quindi di offrire a cittadini ed aziende un servizio efficiente mette l’Italia fuori dalla competizione per gli investimenti internazionali, senza i quali la crescita economica non può ripartire, con gravi ricadute sul reddito dei cittadini e sui posti di lavoro.

In attesa della auspicata svolta, tuttavia, alcune semplici soluzioni andrebbero adottate sin d’ora. Nel settore civile, al di là del rito, occorrerebbe una semplice norma di tipo perentorio, che prevedesse il divieto di rinvio delle udienze – ivi comprese quelle di precisazione delle conclusioni – non superiore a novanta giorni. Ogni anno si svolgerebbero almeno quattro udienze, che normalmente possono essere sufficienti per un intero giudizio, che nei casi più complessi arrivano mediamente a sei. Così facendo in un anno, o al massimo un anno e mezzo, il processo si concluderebbe. Non sono più accettabili rinvii di sei o sette mesi per una udienza ordinaria o di due anni per l’udienza di precisazione delle conclusioni.

Quanto al processo penale, tutti sono d’accordo nel ritenere che la fase delle indagini preliminari sia il momento di maggior stasi del procedimento. Anche qui norme con termini perentori per l’avvio della fase dibattimentale determinerebbero una forte accelerazione del procedimento, anche relativamente alle impugnazioni, eliminando la paventata ipotesi di “processo infinito”, che verrebbe a crearsi con il blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado.

L’inappellabilità delle sentenze di assoluzione in primo grado, oltre ad una notevole riduzione dei processi nelle Corti d’Appello e in Cassazione, darebbe maggiore credibilità all’ intero sistema rafforzando l’idea di uno Stato che crede nei propri Giudici accettandone fino in fondo le decisioni e lasciando invece ai cittadini l’inalienabile diritto di contestare una sentenza di condanna finché la stessa non diventi definitiva.

Ricordiamo, del resto, che la riforma della Giustizia costituisce una delle condizioni poste all’Italia dall’Unione Europea per autorizzare l’erogazione dei finanziamenti di cui ormai da molti mesi si parla dimostrando ciò che le inefficienze – tanto dell’apparato amministrativo che di quello giudicante e inquirente – non solo sono ben chiaramente percepite anche al di fuori dai confini nazionali ma sono anche, altrettanto chiaramente, percepite come una delle principali cause che zavorrano il Paese e che continuano a rendere vani i tentativi di rilancio economico.

Posto che l’efficientamento del comparto giustizia è ormai necessità pacifica e, come detto, da tutti riconosciuta, si auspica che sia attuata con il pieno coinvolgimento della classe forense, non per tutelare interessi di categoria ma perché gli avvocati rappresentano quella imprescindibile ed essenziale cerniera tra il “mondo” della giustizia e la società civile, composta da imprese – piccole, medie e grandi – ma anche da una massa di privati cittadini delle cui istanze, numerose e variegate, oltre che portatrici di interessi diversissimi e talvolta contrastanti tra loro.

Ci si augura, in buona sostanza, che, finalmente, gli avvocati non vengano più percepiti e tantomeno tacciati di essere parte del problema (la mala-giustizia) bensì preziosa risorsa per la sua soluzione, con l’avvertenza che una Giustizia inefficiente non è una Giustizia “giusta” e uno Stato che non è in grado di assicurare una Giustizia “giusta” non può dirsi veramente democratico.

Avv. Mauro Mazzoni
Vicepresidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma
info@mauromazzoni.it

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