Bamboccioni? Forse. Certo è che il numero dei giovani che restano a vivere con i genitori, stando alle statistiche, continua a crescere. Gli ultimi dati Eurostat hanno ribadito un fenomeno già noto: in Italia, la maggioranza dei giovani nella fascia dai 18 ai 34 anni vive ancora in casa dei genitori, con una percentuale del 67,3% (ben 7 su 10!) contro il 33,2% del 1993. Percentuale che fa impallidire la media europea di gran lunga al di sotto del 50 %.
D’altronde la legge – la n. 54 del 2006 – obbliga i genitori a mantenere i figli anche se maggiorenni e fino a quando non si stabilizzano economicamente, senza fissare alcun limite di età né criteri particolari sul significato di “indipendenza economica”.
Qualcosa però è cambiato. Mentre, infatti, vent’anni fa erano i genitori che spingevano a far studiare i figli per un lavoro migliore, salendo così un gradino più alto della scala sociale, ad oggi questo meccanismo non funziona e la maggior parte di loro resta a casa con i genitori non per scelta ma perché non ha un lavoro e non può mantenersi. Il guaio è che il momento del distacco si allontana sempre di più sfiorando, in alcuni casi, anche i 40 anni.
Il paradosso si raggiunge poi nei casi di separazione dei genitori: una buona parte dei contenziosi tra genitori e figli per questioni di mantenimento riguarda, infatti, figli di coppie separate o divorziate. Di solito vivono con la madre e portano in giudizio il padre, che a un certo punto ha cessato di pagare gli alimenti ritenendo i figli abbastanza adulti da badare a se stessi.
I dati parlano chiaro: più della metà delle volte sono i figli maschi, il 60% circa, a citare in giudizio i genitori e nell’ 80% dei casi di famiglie con coniugi separati ad essere portato in tribunale è il padre.
Tuttavia, come spesso accade, agli evidenti limiti della legislazione nazionale si pone rimedio mediante le sentenze giurisprudenziali, quelle della Suprema Corte di Cassazione, capaci, per loro natura, di innovare il diritto attraverso l’enunciazione di principi interpretativi.
è cosi, appena sfornata, è la sentenza nr. 5883 del 12 marzo 2018 con cui la VI sezione civile della Corte di Cassazione ha revocato l’assegno di mantenimento in favore di un figlio che ha compiuto un’età superiore ai trent’anni, “dovendosi presumere, – ad avviso della Corte – in assenza di specifiche deduzioni da parte del ricorrente, il raggiungimento di una situazione di indipendenza economica ovvero di una capacità lavorativa potenziale cui non ha fatto riscontro una concreta ricerca del lavoro.”
In altre parole, se hai 30 anni, sei abile al lavoro ma non ti attivi alla ricerca di un occupazione valida (o dai prova di averci almeno provato magari studiando con profitto all’università) non hai diritto al mantenimento da parte dei genitori.
Tempi duri, quindi, per gli ultratrentenni che vivono ancora con mamma e papà.
Ma attenzione!
La Suprema Corte ha anche avuto l’occasione di precisare, infatti, come “ai fini del dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il giudice di merito è tenuto a valutare, con prudente apprezzamento, caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all’età dei beneficiari, le circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo, fermo restando che tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, poiché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e aspirazioni, purché compatibili con le condizioni economiche dei genitori”.
Dunque una decisione più rigida rispetto al passato ma che comunque tiene in considerazione di ogni singolo caso; perché si sa, ogni situazione è diversa.
Ma proviamo a capire come abbiamo fatto ad arrivare fino a questo punto (ultratrentenni che citano in giudizio i genitori per essere mantenuti anziché attivarsi per trovarsi un lavoro).
C’è chi parla della crisi, chi dell’assenza di lavoro; c’è chi invece sostiene semplicemente che i giovani Italiani, a differenza dei colleghi europei, preferiscano non abbassare il tenore di vita che hanno vivendo a casa dei propri genitori. In pratica, si rinuncia a libertà e autonomia perché si sta troppo comodi a casa con mamma e papà.
Sarà proprio cosi? Chissà! Ma come spesso accade la verità sta sempre nel mezzo.
Avv. Marco Nigro
Studio Nigrolex
marconigro@hotmail.it