“A seguito della pandemia da Covid nulla sarà più come prima, cerchiamo di far sì che sia migliore”
Jeremy Rifkin
Questa riflessione è tuttora in corso e impegna autorevoli opinion leaders, politici, economisti, artisti, ambienti delle sicurezze nazionali, eccetera.
Sicuramente sì. Bisognerà studiare nuove modalità di comportamento, studio, lavoro, vita sociale, per mantenere sempre una distanza di sicurezza l’uno dall’altro. Si spera quanto prima che i vaccini possano raggiungere lo scopo di una immunità di gregge, ma si parla già che dopo 7/8 mesi il vaccino possa perdere efficacia e quindi bisognerà ripetere la dose.
Le grandi società farmaceutiche sono in affanno con la produzione e tutti i paesi in ritardo con la tabella di marcia immaginata. Si preconizza un nuovo modello globale di uso delle risorse, una economia e una società non più dipendenti dall’uso massiccio ed indiscriminato dei combustibili fossili, una terza rivoluzione industriale basata sulla riconversione del patrimonio edilizio, sulla nuova rete energetica incentrata sull’idrogeno e sulla rivoluzione del traffico veicolare e dei vettori relativi. Sembra quasi che La globalizzazione così come l’abbiamo conosciuta sia morta e sepolta.
É ora di prendere confidenza con il termine glocal. Nella storia, le trasformazioni epocali sono sempre state precedute da disastrose epidemie, compresa la rivoluzione industriale dell’inizio dell’Ottocento e andando indietro nei secoli dei secoli.
Ogni volta si ripensa agli errori fatti. Qui, l’errore si chiama cambiamento climatico.
Si evidenzia il nesso, inscindibile, tra alterazioni ambientali, cambiamento climatico, diffusione delle epidemie. Dal punto di vista economico ai tempi del coronavirus, da parte dell’Europa si stanno riscoprendo le tesi di Keynes.
Keynes è stato riscoperto da un sacco di tempo in tutto il mondo ma non in Europa. In America, ad esempio, con piani di rilancio enormi, così come in Cina. Solamente in Europa siamo ancora dominati dall’ossessione della compatibilità di bilancio, del debito pubblico. L’America, il Giappone, del tabù-debito non sono prigionieri, quello che è importante è l’economia reale. È la società, non la contabilità. Non si tratta più di allargare i cordoni della spesa pubblica, di fare i conti fino in fondo sui disastri sociali determinati dall’iperausterità.
Certo l’Europa si è resa conto e con il recovery fund ha sicuramente invertito la rotta, ma già si pensa a quando bisognerà rientrare tra i ranghi con non poche difficoltà specialmente per i paesi con il debito pubblico più alto (Italia, Portogallo, Grecia), che l’Europa debba pensare ed agire in termini “neo keynesiani”. Nel senso di non considerare un “delitto” l’intervento del pubblico nei settori strategici dello sviluppo economico e sociale. E questo vale a livello europeo, ma anche dei singoli Stati. Oggi, anche alla luce della crisi sanitaria, ci accorgiamo, sgomenti, che i servizi e i settori pubblici più importanti, quelli che hanno a che fare con la vita della gente, sono in uno stato di povertà assoluta. Pensiamo all’istruzione, alla sanità, ma anche alla sicurezza, all’esercito, alle forze dell’ordine, così come allo stato, spesso pietoso, delle infrastrutture. L’Europa non può dire: “non ci sono i soldi”.
Questa giustificazione non regge più. Puntare, anche attraverso l’intervento pubblico, su questi settori strategici è investire sul futuro, e lo è anche se questo significa, nel presente, allargare i vincoli di bilancio. Non farlo, significa condannarsi non solo alla marginalità nella competizione internazionale ma favorire le spinte sovraniste nazionali. Oggi come non mai c’è bisogno di agire come “Stati-imprenditori” se si vuole ricreare fiducia tra i privati e aumentare la domanda interna ai Paesi europei; una domanda che la “recessione da Coronavirus” potrebbe ferire mortalmente. C’è un grande bisogno di investimenti pubblici in settori strategici come l’istruzione, le infrastrutture, la nuova economia, la ricerca. Siamo davvero ad un passaggio cruciale: se i governi non si muovono, questo significherà che siamo condannati a restare prigionieri della paura della deflazione e allora addio alla crescita. So che è difficile, ma dovremmo vivere questo momento di grande emergenza non come una minaccia, ma anche come una formidabile opportunità che si apre di fronte a noi per costruire, davvero un mondo nuovo.
Altro discorso collegato, la ri-scoperta degli antichi borghi, delle aree rurali e periurbane e della loro conseguente valorizzazione. C’è sempre più domanda di campagna, di aree verdi, con ritmi e stili di vita meno frenetici. L’Italia è piena di borghi abbandonati, da salvare.
Come lo fu il New Deal del presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt che riprogettò le fondamenta della società e dell’economia statunitense dopo la Grande Depressione del 1929, anche in Europa il Recovery Fund – Next Generation dovrà operare in tal senso in modo che tra dieci anni la società avrà attuato quel cambiamento necessario per il futuro a medio e lungo termine.
Sicuramente, contrariamente a quanto si potesse immaginare, sia la BCE che la Commissione Europea hanno fatto la loro parte, spetta ora agli Stati comportarsi di conseguenza scrollandosi di certe rigidità (soprattutto nei paesi del sud Europa) e attuare il cambiamento affinché come dicevamo all’inizio persino la pandemia diventi un’opportunità!